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Terapia di gruppo: cos’è e come funziona

Indice

La terapia di gruppo ha la caratteristica di riunire tra loro, alla presenza di un conduttore, un numero definito di persone, prive di legami e contatti tra loro. Il gruppo rappresenta quindi il palcoscenico dove perfetti sconosciuti si incontrano per la prima volta ed imparano a conoscersi e ri-conoscersi.

L’individuo è parte di una rete sociale,

un piccolo punto nodale

e può solo artificialmente essere considerato isolatamente,

come un pesce fuor d’acqua” (Foulkes, 1925).

L’elemento in comune ovvero il punto di partenza per la creazione del gruppo è la necessità e desiderio di cambiamento di ciascuno, che all’interno della terapia gruppale avviene attraverso lo scambio, la reciprocità e soprattutto la circolarità.

Ciò permette di generare fin dalle prime battute la sensazione nei partecipanti che qualcosa di importante e profondamente “intimo” possa avvenire all’interno di un contesto protetto, accogliente e coeso.

La coesione di gruppo, all’inizio del percorso, altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “pareti” sono formate dai vari individui e dalla loro voglia di far parte del gruppo stesso.

Cos’è la terapia di gruppo?

Il gruppo non solo fisicamente, ma anche immaginativamente prende le sembianze in terapia di un cerchio, dove gli interventi si pongono nello spazio comune e vuoto all’interno delle pareti, dove vi si uniscono le due anime che lo permeano: individuale, fatta dalle singole individualità che lo compongono, ed una gruppale.

Il terapeuta ha il compito di immergersi in questa dimensione abbandonando il solo “punto di vista individuale” verso un “punto di vista gruppale”, cercando di mantenere sempre attivo un ascolto alle catene associative frastagliate gruppali, al fine di coglierne la trama comune.

Ogni intervento all’interno del gruppo ha infatti una doppia valenza: la persona parla di sé, ma contemporaneamente sta raccontando anche qualcosa del gruppo, del suo clima emotivo, delle forze, dei timori che lo animano in quel momento.

Grotstein ricorda: “in che modo un paziente angosciato può sapere che l’analista lo capisce se non facendogli soffrire quei vissuti che il paziente stesso non ha parole per esprimere? Tutti proiettiamo e in fondo desideriamo che l’altro conosca l’esperienza che non possiamo comunicare e di cui non ci possiamo alleggerire fino a quando non siamo convinti che l’altro capisca. E non possiamo convincerci che gli altri capiscano finché non siamo convinti che l’altro contenga concretamente la nostra esperienza” (Grotstein, 1981, p. 119).

La gestione del dolore nella terapia di gruppo

terapia-di-gruppo.mentesicura02Nel gruppo pertanto l’ascolto del dolore è binoculare: il dolore dell’individuo ed il dolore del gruppo1, e i feedback sono molteplici, non solo da e verso il terapeuta, ma anche simmetrici tra i vari partecipanti.

Si viene così a creare una narrazione che intesse un’unica trama. “E’ la trama che conferisce unità ed integrità e porta al piacere di pensare insieme per costruire un nuovo racconto” (Gentile, 2014, p. 61). Seguendo Corrao, pertanto, in gruppo c’è la possibilità di elaborare l’emozione perché è stata condivisa, è stata verbalmente espressa. Secondo l’Autore infatti “la capacità di soffrire il dolore è strettamente connessa alla capacità della manifestazione verbale del dolore e alla sua denominazione.

Ciò permette non solo di comunicare il dolore, ma anche di elaborarne la trasformazione”. Per Corrao in seno al piccolo gruppo è possibile attivare in modo sempre più completo ed articolato l’esperienza di soffrire il dolore, attraverso la condivisione partecipativa transpersonale, che può avvenire solo all’interno del gruppo, e la definisce Koinodinia, ossia esperienza del dolore di gruppo (Corrao, 1986, p. 126).

“La condivisione radicale (in gruppo) di ciò che una singola mente non può tollerare può generare un suono, una musica sorda, dei rimandi ecoici che salvaguardano la vitalità minacciata” (Americo, 2016, p. 91). La capacità del terapeuta di essere vicino all’emozionalità del gruppo può aiutare il gruppo stesso a dare forma all’irrappresentabile e favorire una prima donazione di senso a vissuti ed emozioni apparentemente incomprensibili” (Gentile, 2014, p. 59).

La vitalità e la peculiarità del gruppo inoltre permette di creare una situazione denominata “ego training in action”, “educazione dell’Io nell’azione2”, intendendo qui per azione l’attività intrapsichica dell’Io in senso analitico. Il gruppo, ponendo l’individuo di fronte a sempre nuove situazioni, lo stimola ad assumere sempre nuovi atteggiamenti di risposta che possono essere osservati e analizzati.

Benefici della terapia di gruppo

terapia-di-gruppo.mentesicura04Questo tipo di intervento permette pertanto ai pazienti di poter esperire numerosi fattori terapeutici relativi al sostegno, apprendimento, rivelazione di sé. Alcuni sono propri ed unici del lavoro di gruppo, altri invece sono comuni alla terapia individuale.

Tra quest’ultimi ci sono: Infondere speranza, Apertura di sé, Catarsi, informazione (interventi di spiegazione e/o chiarificazione del terapeuta), Insight.

Cruciale tra questi è il concetto di infondere speranza che nel gruppo ha anche la valenza di fede e fiducia nel gruppo stesso. Osservare infatti i progressi negli altri partecipanti oltre che il coraggio e sostegno reciproco mobilita la fiducia e la sensazione di potercela fare e mantiene sempre viva la tensione verso il cambiamento. I fattori propri o molto differenti, invece, dalla terapia individuale sono: l’universalità, la coesione emotiva e la condivisione, l’altruismo, il modeling, l’apprendimento indiretto e l’apprendimento interpersonale.

La condivisione in gruppo infatti permette di scoprire e vivere nel qui ed ora che non esistono azioni o pensieri umani totalmente estranei all’esperienza di altre persone, e questo stimola ulteriormente la possibilità di aprirsi, di sentirsi meno soli, di percepirsi capaci di aiutare l’altro e nello stesso tempo di alimentare la coesione gruppale.

Il cerchio, lo sguardo dell’altro, il dialogo a più voci ha una vera e propria funzione di specchio: i feedback reciproci alimentano una più accurata auto-percezione che rappresenta la base per un cambiamento, anche nell’interazione sociale. L’ascolto dell’altro e la sua conoscenza permette infatti sia di “scongelare” i propri schemi cominciando a sperimentare nuovi comportamenti sia di sperimentare “parti” di altre persone che poi possono venire abbandonate perché inadatte per sé ovvero assunte perché funzionali.

I feedback inoltre facilitano la comprensione delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri; si possono modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione di nuovi comportamenti. Attraverso il feedback e l’auto-osservazione i pazienti scoprono che se sono stati loro a creare il loro mondo socio-relazionale, e pertanto di avere il potere di cambiarlo.

La sequenza terapeutica per quanto concerne le esperienze relazionali correttive all’interno del gruppo, può essere qui di seguito riassunta:

  1. Tentativi di attuare un nuovo comportamento. 
  2. Il comportamento non provoca disgrazie (abbandono, perdita dell’identità etc.), ma si viene accettati
  3. Il comportamento appreso nel gruppo viene trasportato nel mondo sociale.
  4. Gli altri approvano questo comportamento e accettano maggiormente il paziente.

Ciò che si apprende e si vive all’interno del gruppo può pertanto essere generalizzato, oltre ad essere una ripetizione “in diretta” di problemi o stili relazionali che esistono al di fuori del cerchio gruppale. “Le emozioni che in seduta vengono comunicate, evocate o suscitate, consentono infatti inferenze su quelle che circolano nelle relazioni con l’altro all’esterno del setting terapeutico, ad esempio quelle del nucleo familiare” (Bonfiglio, 2016; p. 124).

Come funziona la terapia di gruppo?

terapia-di-gruppo.mentesicura01Tale modalità di intervento permette inoltre di accrescere e affinare l’empatia, la solidarietà, nonché la capacità di sintonizzazione emotiva, che consiste nel cogliere e dimostrare di aver colto lo stato interno dell’altro, rispondendo con un leggero scarto espressivo e comportamentale, che implica un lavoro di traduzione o di riplasmare (Stern, 1998, p. 165). Questi ultimi fattori terapeutici derivano dalla possibilità offerta dalla terapia di gruppo di stare in relazione, rispondendo al bisogno di guardarsi e di guardare le proprie e le altrui emozioni. “Lo sguardo è infatti innanzitutto relazione; davanti ad un volto immobile il bambino si sente espulso, si agita per ristabilire il contatto, fino a spengersi come un pupazzo di stoffa, se questo non avviene” (Rugi, 2015, p. 95).

In riferimento a quanto finora esposto, un’immagine che emotivamente riassume cosa accade nel gruppo, è quella descritta da Neri: “Ho capito che devo essere ben consapevole di essere sottoposto anch’io – come gli altri membri – alle potenti emozioni proprie dello stato gruppale nascente e sperimento, come gli altri, disorientamento e difficoltà a pensare. Posso a volte essere tentato di isolarmi dagli aspetti più confusi del mio vissuto. Sono però ben determinato dal non schermarmi (e non ritengo di potermi schermare) rispetto a questi vissuti. Peraltro non li subisco passivamente. Piuttosto mi comporto come un subacqueo che si immerge nello stato gruppale nascente e poi riemerge dalla profondità. Riemergendo, doso il fiato, non trascuro le soste per la decompressione, anzi le prolungo perché aspetto che i compagni di immersione meno esperti mi seguano verso la superficie” (Neri, 2011, p. 123).

Quanto dura la terapia di gruppo?

La psicoterapia di gruppo ha una durata variabile a seconda del singolo individuo edei suoi bisogni, ma tendenzialmente per raggiungere dei risultati di cambiamento permanenti sarebbe auspicabile una partecipazione continuativa di almeno un anno. Al fine di creare quanto descritto sopra, la cadenza degli incontri è settimanale con una durata non inferiore a 1h 15 minuti/1h 30 minuti. Il numero dei partecipanti può variare, in presenza può comprendere anche una decina di persone, sulle piattaforme online, proprio per garantire la coesione gruppale, il numero dei partecipanti non può essere superiore a 6 persone.

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Bibliografia

Americo, A., Psicoanalisi, vitalità di gruppo e irrapresentabilità della morte, Orizzonti esplorativi verso Bion 2016. Anno IV, n. 1 gennaio-giugno, 2016

Corrao, F., Il concetto di campo come modello teorico, in Orme, vol. II, Milano: Raffaello Cortina, 1986

Bion, W. R.(1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando, 1970

Bion, W. R., (1962), Apprendere dall’esperienza. Roma: Armando, 1972

Gentile, C. M., Il piccolo gruppo a finalità psicoanalitica: la cura per la verità e la vita, Koinos, Come cura il gruppo, Anno II, n. 2, luglio-dicembre, 2014

Grotstein, J., Scissione e identificazione proiettiva. Roma: Astrolabio, 1981.

Neri, C., Gruppo. Roma: Borla, 2011

Rugi, G., Trasformazioni del dolore. Tra psicoanalisi e arte: Freud, Bion, Grotstein, Munch, Bacon, Viola. Milano: Franco Angeli, 2015.

Stern, D., Le interazioni madre-bambino. Milano: Raffaello Cortina, 1998

1 Per Bion “Il paziente che non soffre il dolore nemmeno riesce a soffrire il piacere” (Bion, 1970, p. 77). “La differenza tra sentire e soffrire sta nel fatto che soffrire è una scoperta che si collega all’essere, si tratta di un vissuto ed una sensazione che riconosciamo come nostri, come una connessione ed un ritrovarsi con se stessi. Le persone invece che sentono (dolore o piacere) non lo vincolano con un’esperienza propria, ma con qualcosa che ricade su di loro oppure che gli si impone” (Bion, 1970, p. 15). L’emozionalità diventa quindi vitalità ogni volta che è possibile soffrirla. La vitalità pertanto è presente in ogni vita, ma non sempre la vita è vissuta con vitalità, in quanto questa c’è se riusciamo a dare un significato personale alle nostre esperienze emotive. Per Bion la privazione emozionale o la sua frammentarietà diminuisce la vitalità e ci rende simile agli oggetti inanimati (Bion, 1962).
2 Si intende con “io in azione” l’attività intrapsichica dell’Io in senso analitico.
3 “Io non ho nulla da offrire agli altri”. In realtà nel gruppo, si scopre che tutti possono dare e ricevere (altruismo), il terapeuta ha un ruolo nel gruppo, mentre quando l’aiuto arriva dagli altri partecipanti del cerchio si vive una vera e propria esperienza di autenticità ed altruismo.